
Storia del monumento
Realizzazione: 1687
Il gruppo scultoreo in rame di Ercole e Anteo venne realizzato tra il 1684 e il 1687 dallo scultore fiammingo Van der Struck su disegno di Reti, presso il maglio ducale di Colorno. La statua, raffigurante la lotta fra l’eroe mitologico Ercole e il gigante Anteo, era pensata per essere parte integrante della fontana, in quanto l’acqua sgorgava direttamente dalla bocca di Anteo.
Oggi l’originale si trova al centro del cortile di Palazzo Cusani, detto Casa della Musica, mentre la copia è in Via Repubblica addossata al Palazzo del Comune di Parma.
La statua fu commissionata da Ranuccio II Farnese nel 1684, per decorare una nuova fontana nel Giardino Ducale. Infatti in quel periodo vennero avviati vari lavori di sistemazione del parco in vista delle nozze del figlio di Ranuccio, Odoardo III. Il lavoro fu portato a termine solamente nel 1689, anche se sul piede di Anteo l’incisione è datata al 1687.
La statua a spasso per la città
La statua venne smontata intorno alla metà del Settecento in occasione della ristrutturazione del giardino da parte di Petitot. Nel maggio del 1784 il gruppo scultoreo venne chiesto al duca Ferdinando dal conte Cesare Ventura per essere collocato sotto il loggiato del cortile interno del Palazzo della Zecca di Governo, l’attuale Casa della Musica.
La statua venne nuovamente spostata durante la dominazione napoleonica nel cortile del Palazzo del Giardino Ducale sotto i salici dell’isolotto della peschiera. Intorno al 1824, al termine della dominazione napoleonica, il monumento venne spostato nei magazzini della Casa Ducale.
Nel 1829 i “du brasè”, come viene chiamata in dialetto la statua, trovarono una sistemazione sulla fontana del comune in via Repubblica per volere del podestà di Parma Lucio Bolla che ne decise il riposizionamento in una nicchia sul lato orientale del palazzo del Comune, al di sopra di una fontana poi realizzata dal marmista Galli, su disegno dell’architetto e incisore Paolo Toschi.
Per più di un secolo, Ercole e Anteo assistettero al passaggio di carri e cavalli, automobili e motorini, immobili al mutare dei tempi ma non all’aggressione dell’inquinamento.
Nel capodanno del 1981 alcuni vandali asportarono il braccio di Anteo. Nel 1987 le statue furono rimosse e sottoposte a un intervento di restauro da parte della scultrice parmigiana Jucci Ugolotti finalizzato alla realizzazione di una copia in bronzo da collocare al posto dell’originale in via Repubblica. Mentre l’originale tornò alla Casa della Musica al centro del cortile dove si trova tuttora.
A Parma, Emilia-Romagna
Ercole
Ercole e Anteo si sfidarono; preparandosi alla lotta, si liberarono delle loro pelli di leone, mentre Eracle si unse il corpo per sfuggire più facilmente alla presa dell’avversario, Anteo si massaggiò le membra con sabbia calda, per timore che il solo contatto delle piante dei piedi con la terra non fosse sufficiente a rinvigorirlo.
La lotta iniziò, Eracle mise a terra il gigante ma con grande stupore vide i suoi muscoli gonfiarsi e il sangue scorrergli benefico in tutto il corpo, poiché la Madre Terra gli ridava forza. I due si avvinghiarono di nuovo l'uno all'altro e di nuovo Anteo si gettò a terra senza aspettare che Eracle lo sopraffacesse. Al che Eracle, rendendosi conto di ciò che stava accadendo, sollevò il gigante tra le braccia e gli strizzò le costole fino ad ucciderlo.
Anteo
Anteo era un gigante, figlio di Poseidone e della Madre Terra, viveva in Libia e costringeva gli stranieri a lottare con lui finché erano esausti, per poi ucciderli. Non soltanto era abile e forte, ma quando toccava terra riprendeva forza. Conservava i crani delle sue vittime per farne il tetto del tempio di Poseidone.
Anteo non era un avversario facile da battere: viveva in una grotta ai piedi di un picco roccioso, dove si nutriva di carne di leone e dormiva sulla nuda terra per conservare e aumentare la sua forza colossale. La Madre Terra aveva concepito Anteo in un antro libico ed era fiera di lui più di quanto non lo fosse dei suoi mostruosi figli maggiori: Tifone, Tizio e Briareo.
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